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24-06-15

Gasparin

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Interventi

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Alberto GASPARIN

PALUMBARUS - (Palermo)

Breve storia delle attività subacquee: da Alessandro Magno al nuovo palombaro. 

LEONARDO DA VINCI – APPARATI SUBACQUEI

 

Parlare di iconografia subacquea senza citare Leonardo da Vinci è veramente difficile anche se ovviamente il Codice Atlantico d il Codice Arundel (conservato presso la British Library), che raccolgono i suoi manoscritti dal 1478, quando aveva 26 anni, alla morte avvenuta nel 1519, non sono certo disponibili in originale per i collezionisti ed appassionati sub. Ma è importante ricordare e correttamente inquadrare il lavoro del grande genio nel campo delle conoscenze subacquee del suo tempo con riferimento alle attività, a lui certamente note, degli ingegneri senesi che lo hanno preceduto, come Giacomo Mariano, detto il Taccola, che nel suo manoscritto “de machinis” del 1450, conservato alla Marciana di Venezia, raffigura, senza spiegazioni, un primitivo apparato da immersione ad evidenziare che  nel quattrocento l’attività sub era conosciuta e praticata. Lo studioso Mario Baratta nel suo libro intitolato “curiosità Vinciane” delinea chiaramente la posizione di Leonardo circa gli studi su tale argomento. Studi e realizzazioni subacquee che il grande genio in una lettera a Ludovico il Moro dichiara di aver realizzato e di essere pronto a dimostrare, ma che non intende divulgare perché troppo pericolosi e forieri di disgrazie per l’umanità, specialmente quegli apparati autonomi che non si evidenziano in superficie. Ecco perché i riferimenti al lavoro di Leonardo rintracciabili nei Codici sono vaghi e delineati con un certo dettaglio solo in alcuni casi di apparati superficiali, come ad esempio il respiratore raffigurato nel disegno, ripreso dal Codice Arundel, che è dotato di valvole di mandata ed uscita dell’aria. Lo scafandro autonomo è vagamente delineato in vari disegni del Codice Atlantico evidenziando una riserva d’aria, forse pressurizzata, collegato a un apparato di respirazione come si evince nella nostra figura, mentre in altri schizzi descrive un vero e proprio vestito da palombaro capace col carico e scarico dell’aria di cambiare assetto in quota fino a permettere la risalita in superficie. Leonardo oltre a menzionare la dovuta piombatura ottenuta con sacchetti di sabbia si dilunga un questo caso in curiosi dettagli indicando soluzioni tecniche per risolvere le necessità fisiologiche dell’operatore subacqueo sottoposto a lunghi periodi di immersione. Ma in generale gli appunti di Leonardo sono pieni di misteriosa segretezza circa gli apparati subacquei e confermano l’opinione di molti studiosi circa la sua visione tipicamente militare di tali mezzi, con implicita pericolosità alla loro divulgazione. Quando Leonardo cominciò ad interessarsi a mandare uomini sott’acqua, viveva a Venezia ed era motivato dalla guerra con la Turchia. La flotta Turca aveva bloccato la laguna veneziana e Leonardo sognava che per i soldati sarebbe stato possibile camminare sul fondo del mare ed affondare con trapani a mano le navi turche. Il vestito è fatto di pelle di maiale con un tubo molto lungo attaccato ad un galleggiante. Fu scelta la pelle di maiale per le sue proprietà isolanti e di lavorabilità. Per accrescere tali proprietà la pelle veniva trattata con olio di pesce. Il tubo era fatto di bambù, legate insieme con pelle di maiale e corda e rinforzato con spirali di metallo. Questo è un particolare interessante perché indica che Leonardo aveva compreso il concetto di pressione in acqua ed aveva costruito il tubo in modo da prevenire il cedimento sott’acqua, aveva previsto un tubo diviso in due un lato per inspirare e l’altro per espirare. Anche il cappuccio era fatto di pelle con lenti oculari. Come zavorra venivano attaccati alle spalle due sacchi di sabbia,

Prima della sua epoca si era pensato che Alessandro Magno fosse disceso sul fondo del mare in una campana subacquea, ma le prime notizie dell’uomo che sta sott’acqua sono probabilmente più fantascienza che realtà.

 

CAMPANA INDIVIDUALE DI GUGLIELMO DI LORENA (1531)

L’immagine rappresenta la ricostruzione ottocentesca fatta dall’ing. Vittorio Malfatti della campana individuale inventata da Guglielmo di Lorena nel 1531, così come è stata descritta dall’architetto Francesco De Marchi nella sua “Architettura Militare” pubblicata a Brescia nel 1599.

Il De Marchi la utilizzò nel 1535 insieme allo stesso Lorena in uno dei principali tentativi di recupero delle navi romane affondate nel lago di Nemi, da lui erroneamente attribuite all’epoca dell’Imperatore Traiano ma che ricerche più recenti datano al periodo di Caligola. La campana è realizzata in legno di rovere rinforzato da cerchi di ferro, le mani sono lasciate libere così come parte delle braccia dell’operatore subacqueo al fine di permettergli l’esecuzione di semplici lavori, essendo aiutato nella visione da un ampio oblò di cristallo trasparente posizionato frontalmente. Un’imbracatura posizionava la campana a mò di casco sulle spalle del subacqueo, pur essendo sostenuta dal mezzo di superficie, e permettendo quindi in caso di necessità la fuoriuscita dell’operatore stesso.

PAPPAFICO DA IMMERSIONE

Nel 1500-1600 era chiamato “pappafico” un cappuccio di panno, con un vetro, che veniva utilizzato specialmente per i lunghi viaggi a cavallo. Dunque il pappafico da immersione non è altro che il pappafico da cavallo al quale è stato aggiunto un tubo per prendere aria dalla superficie. E’ indubbiamente uno dei primissimi sistemi cui l’uomo abbia pensato per potersi immergere.

Vari disegni sono stati realizzati sullo stesso tipo di attrezzatura: di Mariano di Iacopo, detto “Taccola” (1383-1458) del 1450, di Leonardo a Vinci del 1500 circa e di Vegezio nel 1553 e poi ancora altri due : uno che appare nel libro intitolato “Vallo” del MDL ed uno che appare sul libro “Artillerie” di Diego Ufano del 1621. Il pappafico del libro Vallo, fatto come tutti gli altri in pelle di vachetta o corame conciato ben ingrassati, mostra il tubo dell’aria posizionato davanti alla bocca. Il tubo dell’aria è composto da pezzi di canne unite tra loro con pelle, mentre un sughero è posto su ogni pezzo di canne unite tra loro con pelle, mentre un sughero è posto su ogni pezzo di canna per sostenere il tubo verticale fino alla superficie. Il tutto per renderlo stagno alla penetrazione dell’acqua dal basso.

 

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