CEDIFOP news n. 11 - Maggio 2007 - articolo 014
Una legge per le attività subacquee
(di Salvatore D'Anna)
Tante anime che si fondono in un’unica voce per chiedere una legge che identifichi e tuteli la categoria degli operatori subacquei. Il 14 aprile il Cedifop, il centro studi diretto da Manos Kouvakis, ha organizzato a Palermo il convegno “Disciplina delle attività subacquee ed iperbariche - le basi per una nuova proposta legislativa”.
L’incontro, che si è svolto presso il Centro direzionale della Provincia, ha riunito, tra gli altri, molti rappresentanti delle tante categorie che coesistono all’interno dell’affascinante ma complesso mondo delle immersioni subacquee. Sportivi, Ots, palombari, guide, archeologi marini. Uomini e donne che amano il mare, che nelle profondità svolgono ruoli e mansioni diverse. C’è chi ci lavora e così si guadagna da vivere, chi semplicemente si tuffa sott’acqua per diletto. Tutti quanti, però, sono concordi su un punto, che li unisce e li mette d’accordo. In Italia esiste un vuoto legislativo, non c’è una chiara disciplina professionale che dica chi sono gli operatori subacquei e iperbarici e che poi li tuteli, per esempio, in caso di infortuni sul lavoro. Questo vuoto va colmato al più presto, secondo loro.
Da qui il convegno. Un primo, importante passo per stilare la base di un disegno di legge nel settore, un documento rispondente alle esigenze delle diverse categorie di lavoratori subacquei. Per capire l’anarchia che regna nel settore, basti pensare che attualmente essi fanno riferimento a un decreto ministeriale, che risale al 13 gennaio 1979 su “Istituzione della categoria dei sommozzatori in servizio locale”, con cui nasceva un apposito registro tenuto dalle Capitanerie di porto. Poi basta. A parte un’integrazione del 1981 (che allargava ai cittadini europei e non più solo a quelli italiani la possibilità di iscriversi al registro), tutto è rimasto immutato, mentre nel resto del mondo i legislatori mettevano ordine al settore con provvedimenti e leggi.
Qualcosa, in realtà, i nostri politici hanno provato a farla. Negli ultimi dieci anni, a partire dal 1997, quattro proposte di legge sono state formulate, ma nessuna ha mai completato l’iter parlamentare e quindi è stata mai approvate. Ma anche questi disegni di legge sembrano insufficienti e inadeguati. L’ultimo in ordine di tempo, il testo unificato della C. 1219 Arrighi e C. 1698 L. Martini del 2005, che in alcune delle sue parti introduceva una grande confusione fra subacquea sportivo-turistica-ricreativa e subacquea professionale lavorativa, soprattutto per quanto concerneva le qualifiche e gli attestati di qualificazione professionale: “Noi riteniamo le attività subacquee turistico-ricreative totalmente separate dalle attività connesse ai ‘lavori’ subacquei - ha detto Gaetano Occhiuzzi, presidente dell’Adisub - I due settori si rivolgono ad un mercato completamente diverso”.
Il vuoto normativo crea una sorta di zona d’ombra in cui si insinuano facilmente fenomeni come quello del lavoro nero. A lamentare ciò non solo i sommozzatori, ma anche Antonio Parlato, presidente dell’Ipsema, che ha espresso tutta la sua preoccupazione: “I dati in nostro possesso - ha spiegato - indicano che troppo spesso chi lavora nelle profondità marine lo fa senza tutela a causa della discontinuità e disorganicità dell’attuale legislazione. Servono norme chiare”. Dello stesso avviso l’ammiraglio Ferdinando Lavaggi, comandante della Capitaneria di porto di Palermo, che ha ammesso le difficoltà operative che ogni giorno incontra: “Servono dei paletti, delle regole certe che ci permettano di concedere con più facilità, ma anche con più rigore, i permessi per le immersioni. Ma servirebbero anche per agevolare i controlli che facciamo per attestare eventuali irregolarità. Apprezzamento al convegno ha espresso l’assessore provinciale per le Politiche di coesione ed autonomie locali, Francesco Mangiaracina, che auspica “un maggior interessamento delle istituzioni a questo tema, vitale per la tutela dei lavoratori”.