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Lavoro Subacqueo: Due volte... sommerso

CEDIFOP news n. 11 - Maggio 2007 - articolo 016
Lavoro Subacqueo: Due volte... sommerso
(di Antonio Parlato)

“Sommerso” per antonomasia, il lavoro degli operatori subacquei lo è forse anche per quel che riguarda la regolarità.

E’la tesi sostenuta dall’IPSEMA in occasione del Convegno del Centro Studi CE.DI FO.P, tenutosi a Palermo il 14 aprile scorso sul tema Disciplina delle attività subacquee ed iperbariche: le basi per una nuova proposta legislativa.

Manos Kouvakis, Direttore del Centro, ha introdotto i lavori parlando del vuoto legislativo che contraddistingue il settore, anche avuto riguardo alla singolare circostanza che non una delle varie proposte di legge presentate negli ultimi anni è stata mai varata dal Parlamento. Anche se sembra che ora voglia farsene carico l’on.Nino Lo Presti il quale, come autorevole esponente della Commissione Lavoro della Camera e della Commissione di controllo degli Enti previdenziali, ricopre ruoli significativi per fare chiarezza e riempire il vuoto legislativo su questa tipologia di lavoro, due volte sommerso.

Già il particolare ambiente di lavoro, caratterizzato da ben maggiori rischi che corrono gli operatori, ha visto l’IPSEMA confermare l’obbligo del datore di lavoro di versare un premio aggiuntivo. Ma, se si approfondisce il problema, si scoprono subito alcune non commendevoli particolarità. Infatti a tutelare il lavoro dei subacquei dipendenti non c’è, misteriosamente, solo l’Istituto di Previdenza del Settore Marittimo che, appunto, si occupa di “gente di mare” ma anche l’INAIL. Che con il mare, francamente, non ha molto a che fare. Tanto che logica e buon senso vorrebbero che tutto il lavoro subacqueo facesse capo esclusivamente all’IPSEMA, per la sua specificità e la sua specializzazione.

E non solo perché guardando ai subacquei (ivi comprendendo, come è ovvio, palombari e sommozzatori), l’INAIL assicura appena poche centinaia di lavoratori, mentre l’IPSEMA appena poche decine. Con un numero di infortuni che per l’INAIL è stato nel 2005 di 28 casi e per l’IPSEMA, nello stesso anno, solo di uno, e purtroppo mortale per asfissia meccanica. Dati che fanno ipotizzare la esistenza di lavoro sommerso.

Un grande equivoco poi si rileva dalle denunce che, per l’IPSEMA sono relative ai marittimi-sommozzatori imbarcati prevalentemente sul naviglio ausiliario, ma anche sui rimorchiatori e sulle navi da pesca costiera. Appena tre questi ultimi, quasi a far concludere, per esempio, che i pescatori addetti alla pesca del corallo sarebbero insolo altrettanti. Il che è semplicemente ridicolo. E preoccupante.

Ci potrebbero essere dunque lavoratori sommersi, nascosti nelle pieghe del lavoro autonomo e cooperativistico o assolutamente non denunciati. Al di là di quanti, dipendenti dello Stato, svolgono attività subacquee (nelle Capitanerie di Porto, nella Guardia di Finanza, nei Carabinieri). Ma gli infortuni nei quali essi sono incorsi non godono della minima prospettiva di un’opera istituzionale di prevenzione, nonostante i maggiori pericoli che affrontano: in questa casistica di lavoro pubblico, infatti, lo Stato si affida alla “gestione per conto” effettuata dall’INAIL che lo sostituisce, salvi successivi rimborsi, nella erogazione delle prestazioni: troppo poco, invero per assolvere gli obblighi di garantire soprattutto la sicurezza del lavoro, con la necessaria opera di prevenzione.

Al di fuori di queste categorie, ed anche in questo caso solo per fare un esempio, è legittimo interrogarsi su un settore nel quale operano certamente i subacquei: quello della archeologia sommersa, se solo per il progetto Archeomar, e cioè la prima ricerca organica e fruttuosa di reperti sommersi, disposta dal Ministero dei Beni Culturali, sono stati impiegati qualche anno fa cento subacquei.

Oppure -sempre ad iniziativa dello stesso Dicastero e su sollecitazione dell’IPSEMA- si è dato il via alla ricerca subacquee, nella rada di Napoli, dei relitti della flotta borbonica che l’Ammiraglio Nelson dispose, non responsabilmente, nel 1799 che fosse incendiata ed affondata. Anche se in questo caso si è fatto ricorso allo STAS (Servizio Tecnico per l’Archeologia Subacquea) guidato dal Dottor Claudio Moccheggiani Carpano, un grande esperto della pubblica amministrazione in materia e che ha dovuto però ricorrere all’intervento dei Carabinieri subacquei: le Direzioni e le Soprintendenze del Ministero non dispongono in organico, e sarebbe ora che ne avessero, di archeologi subacquei: e da qui l’iniziativa legislativa parlamentare dell’on.Calasio che ha opportunamente proposto che il Ministero possa dotarsene.

Del resto l’archeologia subacquea costituisce una eccezionale risorsa identitaria del nostro patrimonio marino, capace di sviluppare economia ed occupazione attraverso iniziative turistiche culturali. Si pensi ad esempio, alla iniziativa del Ministro per i Beni Culturali, on. Francesco Rutelli, di effettuare scavi archeologici subacquei a Miseno, nel comune di Bacoli, dove avevano sede sia la grande flotta imperiale romana che i cantieri.

Lavori che sarebbe bene si comprendesse chi sia destinato ad eseguirli e dai quali il territorio, unico per ambiente, reperti, storia e cultura dei Campi Flegrei, nei quali va già ricompreso il parco archeologico sottomarino di Baia, potrebbe arricchirsi con la scoperta degli affascinanti relitti di antichissime triremi.

Dal convegno del CE.DI FOP. -al quale hanno dato rilevanti contributi di idee i presidenti di Enti ed Associazioni nazionali ed internazionali del settore- potrebbero ora derivare tutti gli elementi utili per definire i contenuti di un proposta normativa in grado di ridurre, se non di eliminare, il lavoro irregolare che si è sinora alimentato del vuoto legislativo. Rispondendo positivamente anche alla tesi sostenuta nel convegno dall’IPSEMA, riguardante lo “status” del lavoratore subacqueo che è sì iscritto allo speciale registro tenuto dalle Capitanerie ma non sembra essere considerato, a tutti gli effetti, un marinaio. Come se la sua attività non costituisse un aspetto specifico di quello più generale del lavoro marittimo e non fosse il mare, per le particolari condizioni ambientali e delle prestazioni lavorative che vi svolgono i subacquei, a dettare le sue severe leggi a chi dunque vi opera.

Con l’obbligo per lo Stato di tenerne ben conto. In termini di prevenzione dei maggiori rischi corsi e di prestazioni adeguate alla necessaria tutela degli eventi qualora, malauguratamente, dovessero verificarsi.


Antonio Parlato
Presidente dell’IPSEMA
Istituto di Previdenza Settore Marittimo

(Articolo pubblicato su Il Denaro del 28 aprile 2007)

 
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