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Verso una nuova legge sugli OTS - PARTE VIII

CEDIFOP news n. 45 - Marzo 2010 - articolo 084
Sulla strada di un testo unico fra le proposte: 344 BELLOTTI, 2369 LO PRESTI e 2509 CARLUCCI. 
Verso una nuova legge sugli OTS - PARTE VIII
(di Manos Kouvakis)

In attesa che la proposta riprenda il suo percorso
Fermo, per ora il cammino del disegno di legge Bellotti/Lo Presti/Carlucci, alla Commissione Bilancio e Tesoro (V), che nella seduta di giovedì 5 novembre 2009, ha rinviato la decisione a seduta successiva, facendo richiesta di relazione tecnica ai sensi dell'articolo 11-ter, comma 3, della legge n. 468 del 1978)

In attesa che il percorso parlamentare ricominci, vorrei insistere nel sottolineare l'importanza che ha l'aspetto formativo del Commercial Diver in Italia, dove il percorso da OTS occupa un posto fondamentale, perché comprende una parte di un percorso più completo, con tutti i riconoscimenti internazionali per il basso fondale, cioè il riconoscimento del TOP UP, (immersioni fino a -50 metri).

Allo stato attuale l'Italia, - insieme a Belgio, Finlandia, Germania, Irlanda e Portogallo - ha il riconoscimento ufficiale da parte dell'HSE solo per alcuni percorsi formativi fino a - 30 m. In una scaletta che dipende esclusivamente dalla scuola di formazione che l'allievo ha frequentato, il percorso per OTS valido in Italia, può corrispondere solamente ad una quota del percorso complessivo, questa quota dipende esclusivamente dalla qualità del percorso formativo intrapreso.

Vediamo un po’ cosa accade negli altri Paesi in termini di formazione: viene stabilito un percorso formativo e i suoi contenuti, dopodiché la scuola, se dotata di attrezzature, accreditamenti e personale docente congruo al programma didattico, fa suoi sia il “titolo” della qualifica da conferire a fine percorso sia i contenuti formativi. Questo è in pratica il principio che è stato teorizzato nel protocollo di Lisbona, in modo tale che le qualifiche siano più o meno simili in tutta Europa, il che faciliterebbe i cittadini europei nella libera circolazione occupazionale partendo da paritari saperi e competenze. Ma, quella che è prassi “naturale” negli altri Paesi, in Italia è tutt'altra cosa, ad eccezione delle scuole IDSA dove viene applicata esattamente questa procedura.

Sostenere che la formazione professionale in Italia è "legislazione concorrente”, cioè di competenza delle Regioni e non del Governo, e che i profili didattici professionali devono essere redatti su base regionale con conseguenti profili differenziati da regione a regione, diventa, in assenza di una legge quadro nazionale che precisa saperi e competenze che una figura professionale deve necessariamente avere, spunto affinché ogni singola regione crei profili - in questo settore - con contenuti che non sono all'altezza delle aspettative delle imprese del settore, rendendo impossibile una equivalenza comunitaria della qualifica.

Possiamo fare esempi più pertinenti, con riferimento alla Regione Siciliana (ma lo stesso esempio si può applicare benissimo anche ad altre regioni) che ha appena finanziato ad un ente di formazione professionale cosiddetto "storico" un corso di formazione per OTS; esso non ha nessun riconoscimento da parte dell'HSE e sarà realizzato con grande scarsità di attrezzature e programmi didattici se confrontati con quanto richiede un percorso formativo coerente per la formazione del Commercial Diver. E' certo che, alla fine di questo percorso formativo, quello che si può garantire a chi lo ha frequentato, è che non potrà mai essere assunto da ditte che lavorano in offshore, siano esse Italiane o estere, e che l'eventuale richiesta di assunzione non sarà presa in considerazione da alcuna ditta estera che lavora nel settore, a meno che non ripeta la parte formativa presso altri enti qualificati, in Italia o all'estero.

Certamente l'attestato - inteso come elemento cartaceo - ha validità in tutta Europa, ma ci vuole ben altro: deve essere riconosciuto formativamente valido anche dalle imprese del settore. E ciò non fa altro che penalizzare la figura dell'OTS Italiano nel suo complesso. Ecco perché il mese scorso avevamo sottolineato che "L'assenza di una pianificazione nazionale sulle competenze e saperi che un OTS deve avere come bagaglio formativo, non è indice di liberalità del sistema italiano, ma indice di assenza di professionalità dell'Operatore Tecnico Subacqueo" e qui la soluzione non può essere che quella di una legge quadro nazionale che ponga le basi, a cui le regioni potranno fare riferimento per organizzare percorsi formativi adeguati. Diversamente, come di fatto sta accadendo, può anche essere definito per OTS un corso organizzato da un ente di formazione che, con suo massimo sforzo e in buona fede, può produrre un percorso valido non per il Commercial Diver ma per una guida turistica subacquea, o ancora peggio, e questo l'attuale sistema italiano lo permette, organizzare un percorso formativo da OTS, senza che gli allievi abbiano messo piede in acqua.

Certamente chi “esce” da questi percorsi, potrà, forse, affrontare qualche lavoretto all'interno di qualche porto, ma se vorrà lavorare in offshore, scoprirà che la formazione dovrà ripeterla dall’inizio.

Per questo motivo non si può invocare il Trattato di Lisbona e parlare di "una grave mancanza del diritto comunitario a danno degli italiani" con lettere o tentativi di petizione, cioè andare alla solita ricerca dei pezzi di carta con la pretesa arrogante che essi possano garantire qualità formativa e competenze a chi ha frequentato, suo malgrado, percorsi incompleti rispetto ai Commercial Diver provenienti da altri stati membri dell'U.E., invece occorrerebbe andare alla ricerca della qualità formativa e del conferimento di competenze corrispondenti a quelle dei sommozzatori europei, perché in tal caso il riconoscimento reciproco e la libera circolazione diventa una automatica conseguenza.

In queste condizioni, per gli addetti ai lavori, diventa veramente difficoltoso convincere, chi ci guarda da fuori i confini nazionali, della validità dei percorsi formativi e sicuramente diventa quasi impossibile ottenere riconoscimenti per i livelli successivi di formazione, come per esempio il percorso per conseguire la certificazione TOP UP. Attualmente, in queste condizioni, diventa pura utopia sperare di avere un riconoscimento ufficiale, costringendo chi organizza questo tipo di percorsi a richiedere individualmente, per i propri allievi, il riconoscimento, cosi come avveniva per lo Scuba and Surface Supplied Diving (-30m) fino all'anno scorso per l'Italia, prima del riconoscimento ufficiale di alcuni percorsi formativi italiani validati da HSE per lo Scuba and Surface Supplied Diving .

Petizioni o lamentele, perfino una legiferazione non congrua e adeguata, rischia di offuscare quel poco che negli ultimi anni si è riusciti ad ottenere, certamente senza l'aiuto, tanto gradito e desiderato, dello stato Italiano. Solo un disegno di legge finora presentato - la proposta legislativa n. 2369 - attualmente va considerata in sintonia con gli obiettivi di crescita qualitativa del settore, ma purtroppo nelle modifiche e nei passaggi ha perso parte della sua efficacia.

E qui chiediamo al legislatore di cercare di approfondire, dal punto di vista tecnico, quello che è di ordinaria amministrazione nel mondo dell'offshore, cercando di legiferare - necessità riconosciuta da tutti gli addetti ai lavori - tenendo ben distante il settore della subacquea sportiva ricreativa dalla subacquea industriale, e di non fermarsi alle esperienze di chi ormai da anni ha fatto il suo tempo, restando ancorato a criteri ed esperienze ormai sorpassate, che nei tempi "moderni" possono aver spazio solo nei musei che rievocano la storia della subacquea.

Ecco un altro dei punti, ma ce ne sono ancora tanti, che esamineremo nei prossimi mesi, sperando che le critiche siano di aiuto, prima dello sprint finale, quando la proposta legislativa sarà presentata alla Camera e al Senato, ma...

...la strada è ancora lunga e piena di molti ostacoli da superare!

Manos Kouvakis
Direttore CEDIFOP

continua...



 
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